Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - 02-02-2005
Come è stata smantellata l’Europa dell’Est: riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione di Marc Vandepitte che giunge dal Partito del Lavoro del Belgio (PTB)
L’instaurazione del capitalismo ha significato una retrocessione per tutti i paesi dell’Europa dell’Est, tanto sul piano economico come su quello sociale. Una nota della Nazioni Unite dichiara: “Il passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato è stata accompagnato da grandi cambiamenti nella ripartizione della ricchezza e del benessere nazionale. Le cifre mostrano che si tratta dei cambiamenti più rapidi mai registrati. Ciò ha portato ad un elevato, drammatico, costo umano.”
Dal 1990 al 2002 il prodotto interno lordo (insieme dei beni e dei servizi prodotti in un anno) per abitante dei paesi dell’Europa dell’Est è diminuito del 10%, mentre nei paesi di livello compatibile è aumentato del 27%; ciò rappresenta una perdita effettiva di quasi il 40% . Questa regressione vale per tutti i paesi, salvo Polonia e Slovenia. Oggi il Pil per abitante degli ex paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale è inferiore di un quarto rispetto all’America Latina. Per le repubbliche dell’ex Unione Sovietica la situazione è ancora più drammatica. Negli anni ’90 il Pil è sceso del 33%. In Ucraina, dal ‘93 al ‘96, vi è stata una diminuzione del 33%, in Russia del 47%.
Le azioni dell’economia di stato sono state svendute a prezzi ridicolmente bassi. Una gran parte dell’imponente apparato economico e industriale è stato smantellato. In pochi anni la grande potenza industriale che era la Russia, si è convertita in un paese del terzo mondo. Il Pil della Russia (144 milioni di abitanti) è inferiore a quello dei Paesi Bassi (16 milioni di abitanti). L’Unione Sovietica è regredita di un secolo. Ai tempi della Rivoluzione socialista, nel 1917, il Pil rappresentava il 10% quello degli US. Nel 1989, considerando che intanto l’Unione Sovietica era stata grandemente danneggiata nella II Guerra Mondiale, toccava il 45% degli US .Oggi meno del 7%.
L’instaurazione del capitalismo ha significato una retrocessione per tutti i paesi dell’Europa dell’Est, tanto sul piano economico come su quello sociale. Una nota della Nazioni Unite dichiara: “Il passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato è stata accompagnato da grandi cambiamenti nella ripartizione della ricchezza e del benessere nazionale. Le cifre mostrano che si tratta dei cambiamenti più rapidi mai registrati. Ciò ha portato ad un elevato, drammatico, costo umano.”
Dal 1990 al 2002 il prodotto interno lordo (insieme dei beni e dei servizi prodotti in un anno) per abitante dei paesi dell’Europa dell’Est è diminuito del 10%, mentre nei paesi di livello compatibile è aumentato del 27%; ciò rappresenta una perdita effettiva di quasi il 40% . Questa regressione vale per tutti i paesi, salvo Polonia e Slovenia. Oggi il Pil per abitante degli ex paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale è inferiore di un quarto rispetto all’America Latina. Per le repubbliche dell’ex Unione Sovietica la situazione è ancora più drammatica. Negli anni ’90 il Pil è sceso del 33%. In Ucraina, dal ‘93 al ‘96, vi è stata una diminuzione del 33%, in Russia del 47%.
Le azioni dell’economia di stato sono state svendute a prezzi ridicolmente bassi. Una gran parte dell’imponente apparato economico e industriale è stato smantellato. In pochi anni la grande potenza industriale che era la Russia, si è convertita in un paese del terzo mondo. Il Pil della Russia (144 milioni di abitanti) è inferiore a quello dei Paesi Bassi (16 milioni di abitanti). L’Unione Sovietica è regredita di un secolo. Ai tempi della Rivoluzione socialista, nel 1917, il Pil rappresentava il 10% quello degli US. Nel 1989, considerando che intanto l’Unione Sovietica era stata grandemente danneggiata nella II Guerra Mondiale, toccava il 45% degli US .Oggi meno del 7%.